di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)
Le stragi di Bruxelles impongono, ancora una volta, una riflessione profonda sull’approccio che l’Occidente ha riservato al fenomeno terroristico e sulla capacità dei Paesi colpiti di rispondere adeguatamente agli attacchi cruenti ed intrisi di quella crudeltà, tipica di chi disconosce valori umani e religiosi, caratteristica prevalente di coloro che sono inconsapevoli, per insufficienti capacità intellettive e culturali, delle conseguenze del loro agire. La ferma condanna di quanto accaduto, la ricerca di cause socio-politiche che giustifichino l’esasperazione di molti giovani che si sottomettono al jihad o che si lasciano conquistare dal fascino della nuova vita proposta dal califfato (vita breve, invero, posto che saranno tutti destinati a morire presto in attentati suicidi o guerriglie armate), i dibattiti sulla mancata integrazione o sull’omertà di intere comunità islamiche, non riporteranno indietro le centinaia di vittime cadute sotto il fuoco di fanatici attentatori senza scrupoli.
Ormai da anni le democrazie di tutto il mondo hanno imparato a conoscere il terrorismo, hanno provato a fronteggiarlo, in molti casi con successo, hanno accettato una stringente limitazione delle libertà individuali nonché una compressione delle garanzie costituzionali riservate ai singoli, in nome di una vittoria nel lungo periodo. Evidentemente non tutte nella stessa misura.
E’ davvero sconcertante, infatti, constatare come ad agevolare le dinamiche terroristiche a Bruxelles siano intervenuti fattori riconducibili alla poca esperienza tecnica degli investigatori e delle forze di polizia, alla mancata collaborazione tra le Intelligence operanti sul territorio, all’immenso deficit informativo e di collegamento con i Servizi stranieri, all’ostinazione delle autorità belghe a non derogare ad alcune norme interne ricorrendo a legislazioni d’urgenza che avrebbero potuto far superare legittimamente alcuni limiti ordinamentali e consentire l’intervento preventivo! L’impreparazione belga nel gestire gli eventi è stata talmente evidente da rasentare, in alcuni episodi, un’inaccettabile ingenuità: non eseguire perquisizioni se non negli orari stabiliti dal codice (entro le 23 e dopo le 5 del mattino!) al fine di non turbare il menage dei controllati, diffondere la notizia di una presunta collaborazione del terrorista arrestato per le stragi di Parigi nell’auspicio che potesse fungere da deterrente per la commissione di altri attentati, allarmare la popolazione preannunciando il disegno criminale di un attacco alle centrali nucleari salvo poi comprendere l’errore e ridimensionare addirittura il grado d’allerta, è ulteriore sintomo di confusione ed imperdonabile improvvisazione.
Molti Paesi occidentali, tra cui l’Italia, hanno recentemente adeguato le rispettive legislazioni alle rinnovate necessità di sicurezza del sistema interno ed internazionale in materia di repressione e prevenzione dei fenomeni terroristici, anticipando la soglia di punibilità fino a colpire le azioni prodromiche all’attività terroristica quali l’addestramento o l’insegnamento di tecniche finalizzate ad atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali e persino la condotta degli arruolatori e di coloro che si auto addestrano (imparando dal web come confezionare esplosivi o trafficare in armi, ad esempio). Le nuove disposizioni antiterrorismo hanno altresì affidato all’Intelligence un ruolo centrale, aumentandone le prerogative e le tutele, ampliando le garanzie funzionali riconosciute agli agenti operativi, incrementando la specializzazione in alcuni settori investigativi e mostrando così di prediligere i criteri di competenza settoriale. Eppure l’Italia ed altri Paesi europei (la Gran Bretagna, tra questi) hanno sempre considerato il garantismo, il multiculturalismo, l’integrazione e la tutela delle libertà individuali elementi caratterizzanti un sistema giuridico evoluto e sano, ma il pressante incedere del terrorismo ha reso indifferibile una rivisitazione (mai una negazione) di alcuni princìpi col fine superiore di reprimere tale dilagante fenomeno. Omologare le normative (l’Europa avrebbe già dovuto provvedere a farlo da almeno un decennio), affidare compiti esclusivi a corpi specializzati nel contrasto al terrorismo e nel contempo aumentare il grado di formazione della polizia nazionale, istituire una vera Intelligence europea che non abbia soltanto funzioni di raccordo e coordinamento di tutte quelle già operanti nei Paesi dell’Unione ma autonomia e capacità propulsiva e di iniziativa investigativa, potrebbe prefigurarsi come la chiave di volta in una guerra che nessuno ha inteso, finora, chiamare col suo nome.
(Fonte: Agenzia DIRE – www.dire.it, 25 marzo 2016)
(EdP-mb)