ESCLUSIVA
La parola all’esperto
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Il 2 novembre 2020 è uscito un lavoro scientifico molto importante sul Coronavirus (Y Zuo et al Prothrombotic autoantibodies in serum from patients hospitalized with Covid-19 Sci.Transl.Med,2020 10.1126/scitranslmed. abd3876). L’articolo conferma scientificamente come sia la sindrome da antifosfolipidi (generata da autoanticorpi –aPL- che colpiscono i fosfolipidi e da proteine che si legano ai fosfolipidi) che, in questa patologia, una volta innescata sia in grado di generare uno stato trombofilico che porta a trombosi arteriose e venose. Questi anticorpi includono le anticardiolipine IgG, IgM e IgA. Alti valori di queste sostanze riscontrate nel plasma di ammalati di Covid sono state messe in relazione con la iperattività dei granulociti neutrofili che a loro volta favoriscono l’ipercoaguabilità, la severità della malattia respiratoria e la riduzione della funzione renale. Questa segnalazione è importante perché sostanze come il dipiridamolo o la idrossiclorochina e altre che possono contrastare in vari momenti diversi lo sviluppo di questi processi possono impedire l’aggravamento della malattia una volta che questa abbia attecchito l’organismo.
Conosciamo quindi sempre meglio il nemico che abbiamo di fronte, ma allora perché siamo nuovamente confinati in casa a temere gli effetti della così denominata “seconda ondata”?
Caratteristica di questa “ondata” è il crescente numero di tamponi effettuati nella popolazione in assenza di un piano strategico e a distanza di almeno 1 anno dall’inizio dell’epidemia, la positività dei quali ha generato una moltitudine di persone cosi dette “contagiate” ma non ammalate. Si è calcolato che almeno il 95% dei positivi ai tamponi sono esenti da avere sviluppato la malattia. Il concetto di contagio (in italiano) implica il concetto di malattia e non c’è contagio se l’individuo non sviluppa malattia. Il concetto quindi di “malato asintomatico” è assolutamente un nonsense anche lessicale oltre che concettuale. Ma allora perché questo panico? Si è tornati alla mortalità di marzo/aprile scorsi?
È forse la prima volta in Medicina nella quale la diagnosi di una malattia viene posta sulla base di un singolo test senza tenere minimamente in considerazione l’analisi clinica. Nemmeno nell’infarto miocardico alla pluri testata coronarografia viene attribuita questa importanza; in quel caso infatti la sua positività (vaso occluso) non è di per se garanzia di avvenuto infarto miocardico ma sono necessari altri elementi quali enzimi, disfunzioni contrattili ventricolari, angor etc. per diagnosticarlo. Per questo Covid-19 invece è sufficiente il singolo tampone positivo per giudicare una persona ammalata (contagiato ha questa accezione) e determinarne l’isolamento prolungato. Perché questo sia possibile bisognerebbe quindi che tale tampone risultasse un metodo diagnostico quasi infallibile. Ma è proprio così?
Il tampone classico faringo-nasale si basa su un metodo amplificativo del segnale che va a leggere (sequenza RNA) che è stato denominato PCR ed è un metodo essenzialmente qualitativo (non quantitativo), strutturato inizialmente a scopo di ricerca e non a scopi diagnostici su larga scala. Esistono varie scale di amplificazione dalle minime per le quali non possono essere diagnosticati nemmeno i veri positivi fino a scale elevate (> 35-40) quando si leggono positività anche in chi non è portatore del virus. Al 16 maggio 2020 risultava che in circolazione vi fossero 78 diversi tipi di tampone, non verificati con metodi scientifici. Il 99% infatti non evidenzia la sequenza genetica che va a valutare. Non molti specificano che in realtà il Coronavirus che ci tiene in casa non è a tutt’oggi realmente stato isolato. Per isolato si intende separato dal resto dell’organismo da cui proviene il campione testato. Dovrebbe essere presente per il 95-100% del materiale esaminato. Attualmente esistono isolati di virus ma non sono quantificati. I sistemi RTPC alla base dei tamponi lavorano sul DNA, quindi prendono la catena sequenziale RNA del supposto virus e la raddoppiano prima di moltiplicarlo. Purtroppo però nel materiale faringeo e/o alveolare dove si dice che il virus è stato isolato vi sono 30 miliardi di tipi di RNA che possono essere molto simili al virus in oggetto (esosomi). Solo questi numeri rendono ragione della difficoltà a diagnosticare la malattia da Coronavirus con il semplice e più che imperfetto tampone. I nostri tamponi pertanto non identificano con precisione la sequenza casuale (virus non isolato) e presentano degli elevati cicli di PCR (amplificazioni e si sa che oltre i 30 cicli quello che si legge è tutto fuorché sicuro).
Inoltre è fondamentale quando si va a valutare l’accuratezza dei risultati dei tamponi guardare la siero prevalenza e cioè quanto il virus sta circolando nella popolazione. Con una prevalenza del 2% al meglio i tamponi hanno il 51% di falsi positivi. Nella realtà Italiana dove la prevalenza di malattia non supera il 0.1% i falsi positivi possono arrivare al 85-90%. Questo ci dice che l’attuale politica dei tamponi indiscriminati su larga scala è una costosa follia che non è in grado di contribuire alla corretta diagnosi bensì è atta a creare allarmismo indiscriminato. Pur tenendo conto di questo la fase attuale per numero di ricoveri nelle Terapie Intensive secondari alla reale patologia da COVID-19 e per mortalità provata da malattia da Coronavirus è assolutamente inferiore ai mesi di marzo/aprile trascorsi. Siamo stati tanto bravi nel controllo o forse il virus sta perdendo lentamente ma progressivamente la sua virulenza?
Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie Cardiovascolari – profacapucci@gmail.com
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