IN ESCLUSIVA
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Da alcuni giorni e cioè da quando si sta appiattendo la presunta salita dei contagi si sta iniziando a parlare di una possibile ripresa del lavoro, magari gradatamente con un piano, per ora un po’ nebuloso, che viene nominato “fase 2“, cioè di ripresa parziale. Naturalmente per giungere a questo quasi tutti sono d’accordo che bisognerebbe avere un’idea precisa, almeno probabile, sull’andamento dei contagi. A questo riguardo vi sono molti esperti al lavoro, come “The European Heart house-Ambrosetti” che ha strutturato un modello di simulazione dell’andamento dei contagi in Italia prevedendo gli scenari sulla base di: 1) evoluzione della pandemia Coronavirus in Cina; 2) misure di contenimento dell’epidemia adottate in Italia; 3) grado di osservanza effettiva delle stesse. Dall’ analisi di tali dati deriva che la diminuzione dei nuovi casi di infezione in Italia procede con una intensità minore rispetto alla Cina e questo ha spinto ad allungare le attuali misure restrittive almeno fino al 3 maggio, malgrado prevedibili disastrose ripercussioni sull’economia del paese. E’ stato calcolato infatti con questi dati alla mano che l’allentamento fin da subito delle misure restrittive potrebbe portare nei mesi successivi (giugno-luglio) a una seconda ondata di contagi. Questo è un problema molto sentito dovunque e la ricerca scientifica si sta mobilitando per cercare una soluzione all’ emergenza.
Le misure che si invocano per il prossimo futuro sono il mantenimento delle distanze ottimali (> 1 metro) fra le persone; l’impiego costante di mascherine e naturalmente attenzione estrema alle norme di igiene personale (lavaggi mani frequenti etc.) e regolamentazione delle uscite da casa in base ad età, presenza di comorbidità e magari esito di test ematologici (ricerca di anticorpi) e/ tamponi.
In Italia vi è sicuramente stata una certa risposta allo stress con netto incremento sia dei posti letto di reparto che di Terapia Intensiva per i malati affetti da Coronavirus, un po’ in tutte le regioni. Si sono prodotte mascherine e respiratori in numero molto superiore per fare fronte alle emergenti necessità. Vi è stata una crescente attenzione ai metodi per individuare i soggetti asintomatici ma portatori (tamponi positivi o con reazione immunologica attiva nel loro sangue) in modo da poterli isolare e così tarpare la loro possibilità di contagio.
Da queste osservazioni, pur positive, non emerge peraltro una direttiva precisa per la ripresa della fase 2. Inoltre non solo la fase 2 ma anche la 3, secondo queste possibili direttive, consisterebbe in un isolamento di fatto progressivo della persona, nel nostro modus vivendi nel sospetto che comunque chi ci sta vicino possa essere portatore, anche a sua insaputa e quindi potenzialmente infettante di questa influenza apparentemente senza cura e mortale. Ma è questo il giusto modo di valutare il problema o ci potrebbero essere soluzioni efficaci e alternative? Questa influenza da Coronavirus è proprio senza cura efficace?
Per rispondere a queste domande dobbiamo ricorrere ad alcune osservazioni.
1) I dati che ci riporta il gruppo di studio Ambrosetti e che sono sicuramente parte delle decisioni della commissione tecnico scientifica sono certamente interessanti e basati su principi scientifici ma partono dal presupposto di avere dati veritieri dalla Cina e questo lascia molte perplessità che si riferiscono al lungo tempo intercorso fra inizio dell’epidemia ed allarme mondiale, al numero di morti che sicuramente è stato molto superiore e all’assenza totale di altre segnalazioni di patologia al di fuori del distretto di Wuhan. Quindi se il presupposto della costruzione Ambrosetti è errato anche la costruzione delle conseguenti previsioni potrebbe essere lontano dalla verità.
2) Il secondo punto che dovrebbe essere valutato riguarda la possibile influenza della strategia adottata in Italia per il contrasto della malattia da Coronavirus ed il suo impatto sullo sviluppo della stessa. La scelta italiana fin da subito è stata, ed è ancora con poche eccezioni: – Arriva influenza con febbre: attendere a casa per almeno 5 giorni controllando la temperatura con Tachipirina – Se compaiono altri sintomi come tosse stizzosa e dispnea ingravescente chiamare un numero telefonico di riferimento per allertare un team specifico che arriverà a domicilio per valutare il da farsi o, nei casi più severi, recarsi al PS – Una volta arrivati in ospedale se presente polmonite interstiziale avanzata e desaturazione di O2 allora assistenza ventilatoria con respiratori ed accesso in Terapia Intensiva. Conseguenza di questa strategia, immodificata dopo due mesi di esperienza e di elevatissima mortalità: a) congestione degli ospedali che progressivamente non riescono a fare fronte alle comuni patologie ma diventano totalmente COVID terapie; b) dopo giorni di attesa a casa senza terapia in molti pazienti il virus prolifera e genera quella grossa infiammazione causa dei problemi polmonari, vascolari, e cardiaci che possono portare a morte; c) i medici di medicina generale che dovrebbero controllare il territorio sono lasciati inermi senza armi terapeutiche in quanto viene anche proibito loro l’impiego di sostanze che sino a pochi giorni prima potevano somministrare ai loro pazienti senza problemi, in nome dell’esistente protocollo.
3) Nel frattempo muoiono molte persone (migliaia al giorno); inizialmente, ” si rassicura”, solo anziani con comorbidità, poi si è costretti ad ammettere che anche i più giovani possono essere colpiti. Benché nel frattempo vengano pubblicati lavori scientifici che chiariscono ed ampliano la conoscenza del virus i protocolli in atto nel nostro paese, stilati dalla commissione tecnico scientifica e dall’Istituto Superiore della Sanità, non vengono mai ridiscussi. Si punta a maggiori posti letto in Terapia Intensiva, maggior numero di respiratori, maggiore esecuzione di tamponi diagnostici, maggior numero di guanti ed infine reclusione prolungata e a tempo indefinito nel proprio domicilio.
Nessuno promuove ad esempio una costante pulizia e disinfezione delle strade e luoghi pubblici (il virus è resistente all’esterno) e nessuno parla del fatto che anche il materiale venuto a contatto con persone infette (vedi ospedali) dovrebbe essere incenerito e non dismesso con i normali rifiuti per non inquinare l’ambiente.
In realtà, apparentemente sconosciute al comitato tecnico scientifico, vi sono già da settimane nuove informazioni che, se ben osservate, potrebbero cambiare decisamente sia il nostro approccio alla terapia del virus che anche la strategia della fase 2 e forse anche 3.
I successi terapeutici al Coronavirus, che si sono ottenuti nella lotta di tutti i giorni, sono già noti anche se le pubblicazioni scientifiche fino ad ora non sono state numerose anche soprattutto per i tempi tecnici necessari e che contano la raccolta dei dati, la loro elaborazione statistica, la scrittura del lavoro, la sottomissione alla rivista scelta, la revisione del lavoro da 2 , 3 o 4 esperti ed infine approvazione e tempi di pubblicazione. Almeno 2 mesi a dire poco.
Quindi è logico che per una patologia che ci ha investito da un po’ più di due mesi non esistano ancora molti lavori scientifici. Ci dobbiamo riferire pertanto alla buona pratica clinica che è essenziale in medicina ma che è pertinenza dei medici che esercitano il loro ruolo sul campo e non dei burocrati amministrativi che stanno nelle loro poltrone (positivi o negativi a presunti tamponi) a prendere le decisioni che interferiscono ormai in modo così deciso sia con la nostra salute che con la libertà di ognuno di noi.
Le novità terapeutiche sono principalmente due ma sono fondamentali:
(a) Si può bloccare lo sviluppo della malattia sul nascere, non appena compaiano i primi sintomi influenzali (febbre, astenia, perdita gusto e olfatto, diarrea) iniziando da subito, senza alcun tampone, a differenza di quanto continua a proporre AIFA, la terapia con Azitromicina e Idrossiclorochina. Tale terapia deve essere prescrivibile dal medico di medicina generale che diviene quindi il protagonista della cura dell’epidemia da Coronavirus. Le epidemie si trattano nel territorio, a domicilio e non in ospedale. Ora invece il Medico di medicina generale non può prescrivere questi farmaci che li può prescrivere solo l’ospedale. In questo modo si congestionano gli ospedali con persone COVID infette e si perde tempo nell’inizio della cura. Molte osservazioni già esistenti e qualche report clinico pubblicato hanno già portato esiti molto favorevoli a questa strategia terapeutica che riesce a bloccare nelle gran parte dei casi l’evoluzione della malattia verso lo stato infiammatorio generalizzato che può invece portare alla morte.
(b) Nel caso invece la malattia proceda verso questo terribile stato infiammatorio c’è la seconda importante arma che è l’eparina sottocute a dosi piene.
Quando utilizzarla? Al primo sintomo “dispnea”. Perchè utilizzarla? Si è andato evidenziando che l’infiammazione elevata, prodotta dal Coronavirus non trattata da subito, come al punto (a), si manifesta attraverso un quadro esteso di trombosi venosa periferica con possibile embolia polmonare che è causa della dispnea e dei sintomi respiratori per i quali l’eparina è la soluzione terapeutica ideale (dati del Nord Italia sono già presenti ed in corso di pubblicazione). Per chiarezza se il meccanismo della difficoltà a respirare è legato ad un’embolia polmonare, nessun respiratore è di effettivo aiuto: bisogna ripristinare il flusso sanguigno nel polmone con un anticoagulante quale appunto l’eparina che inoltre ha di per se anche un effetto anti infiammatorio. Questi dati spostano pertanto l’attenzione sulla fisiopatologia della dispnea e desaturazione di O2 nei pazienti affetti da Coronavirus: non legato a difficoltà di scambio gassoso a livello degli alveoli polmonari, come nella polmonite interstiziale che si era subito ipotizzata, bensì legata a ridotto flusso sanguigno a livello delle arterie polmonari.
Come si vede quindi oggi abbiamo in realtà, malgrado il silenzio della stampa, dei mass media, dei politici, dei tecnici che si dovrebbero occupare della nostra salute due formidabili armi terapeutiche per controbattere non il Coronavirus di per se, ma gli esiti mortali che ha prodotto e di cui ancora oggi è responsabile.
Naturalmente l’isolamento in casa è stato sicuramente utile per ridurre la diffusione del virus ma ora, sapendo che abbiamo qualche arma importante si potrebbe puntare ad una fase 2 più vicina alle nostre esigenze di persone lavoranti e pensanti.
Prima di passare e finire con le proposte ed indicazioni per la fase 2 vorrei brevemente chiarire ancora un paio di punti.
La situazione della mappa dei contagi è da tempo fuori controllo. Lo è stata fin dall’inizio per una scarsa allerta, non si sa se voluta o ignorata. Pertanto advocare all’impiego dei tamponi oggi la necessità di tracciare la malattia è assolutamente senza senso.
Si tenga conto del margine di errore abbastanza elevato consono a tali metodiche di tampone oro-faringeo con dimostrati sia falsi positivi che falsi negativi; è presente un’elevata variabilità interindividuale; essere positivo al tampone non vuol dire sviluppare necessariamente la malattia; non sappiamo se necessariamente la positività al tampone voglia significare che il soggetto sia infettante; vi sono dati che riportano come la valutazione finale, per giudicare l’eliminazione totale del virus dal soggetto prima ammalato, dovrebbe essere fatta nelle feci e non mediante tampone oro faringeo; non siamo in grado ancora di valutare quale debba essere la carica virale che si accompagna necessariamente a sviluppo della malattia.
Anche per quanto riguarda l’importanza che può avere un’analisi del sangue che ci valuti la nostra reazione anticorpale, analisi che ha mosso l’entusiasmo di alcuni dei nostri politici, vi sono molte perplessità sul suo effettivo valore. In primis si va a valutare una risposta non necessariamente specifica al Coronavirus. La presenza di una reazione anticorpale inoltre, ammesso che sia secondaria al Coronavirus, è un indice generico di un precedente contatto ma non ci dà reali informazioni sulla capacità infettante del soggetto positivo e quindi non ha senso che sia introdotto come screening di massa per giudicare chi possa riassumere l’attività lavorativa o addirittura chi possa uscire o meno di casa. Quindi tali metodiche sono da riservare a scopo di studio in un’area circoscritta predefinita ma non hanno alcun senso per scrinare la popolazione oggi ad epidemia totalmente fuori controllo. Non utili nella fase 2 perché inutilmente costose, non affidabili, e non specchio della capacità infettante del singolo individuo.
FASE 2
Le lunghe premesse descritte erano importanti per potere razionalizzare la ripresa dell’attività in sicurezza, senza false aspettative e senza scialacquare i soldi pubblici.
I punti fermi che abbiamo sono:
a) In assenza di una mappa della diffusione del virus, ormai impossibile nella grande popolazione, dobbiamo purtroppo partire dal presupposto che ognuno di noi possa essere potenzialmente portatore di virus ed infettante. Saranno pertanto da mantenere in fase 2, le attenzioni riguardanti la distanza (meglio 2 di 1 metro) dalle altre persone, l’impiego di mascherine per i comuni cittadini (sovra maschere in più per personale esposto), di guanti, il lavaggio molto frequente e accurato delle mani. Le organizzazioni pubbliche e le aziende private dovranno farsi carico di accogliere le persone nei luoghi di frequentazione con le dovute distanze etc. Molto utile, se non addirittura indispensabile, iniziare a lavare e disinfettare strade e luoghi pubblici, vista l’alta resistenza del virus anche in ambienti esterni a contatto con specifiche superfici. Ogni persona che si è ammalata di influenza ed è guarita dovrà stare in isolamento domiciliare per 4 settimane prima di uscire e/o riprendere il lavoro.
b) Tenuto conto delle precedenti misure e della conoscenza che abbiamo armi terapeutiche efficaci sia per trattare la fase acuta che le possibili complicanze, ed in attesa di ulteriori sempre più specifiche terapie si deve riprendere la mobilizzazione da casa e l’attività lavorativa. Nel caso che una persona sviluppi sintomi influenzali sarà trattato a casa dal Medico di Medicina Generale a cui verrà dato il protocollo d’azione che consiste in terapia con Azitromicina e Idrossoclorochina ai primi sintomi influenzali; Calcieparina e ricovero in ospedale alla comparsa di dispnea. Questa sarà la nuova ed efficiente strategia terapeutica.
c) Si dovrà approntare ed organizzare una modalità di viaggio nei mezzi pubblici in sicurezza (vedi punto a) (autobus,metro, treni, aerei etc) in modo da potere riprendere la mobilizzazione.
La fase 2 (mobilizzazione totale da casa, con le modalità sopra riportate) avrà una durata di 3 mesi durante la quale saranno monitorati i casi molto sospetti o effettivi (che hanno necessitato ospedalizzazione) di Coronavirus e l’effettiva mortalità. I dati saranno controllati da una commissione di 5 esperti fra medici e statistici senza alcun legame poitico, dotati di esperienza provata e di un alto H index (>40 Scopus) e scelti mediante rapido concorso a tutti visibile che riferiranno al Governo sia in itinere che al termine dei 3 mesi.
Da tali valutazioni, e considerando anche eventuali nuove efficaci terapie uscite nel frattempo, sarà programmata la definitiva fase 3.
Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie Cardiovascolari Bo – profacapucci@gmail.com
EdP-mb