COVID-19: in Italia si è trovato bene! (parte 3)

IN ESCLUSIVA

(Tempo di lettura: 09′:20″)

L’autore: Il Prof. Alessandro Capucci, originario di Faenza, bolognese d’adozione, professore ordinario di Malattie Cardiovascolari, per molti anni direttore della clinica di Cardiologia dell’Ospedale Le Torrette di Ancona, dal 2008 al novembre 2019 direttore della Scuola di Specialità in Malattie Cardiovascolari presso l’ Università Politecnica delle Marche e direttore della Clinica di Cardiologia Ospedale Torrette in Ancona, un’eccellenza a livello nazionale e internazionale nel trattamento delle patologie cardiovascolari. E’ stato inoltre uno degli otto membri in Europa del Working Group on Arhythmias della società Europea di Cardiologia, nonché vice presidente dell’associazione italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione, autore dello studio “Aritmie cardiache, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, influenze del sistema neurovegetativo” e inoltre organizzatore di vari progetti internazionali e artefice di numerose pubblicazioni.

Nella terza puntata di questa rassegna sulla nefasta epidemia da Coronavirus che sta mietendo centinaia di vittime al giorno nella nostra nazione, mentre si continua a discutere di tamponi, mascherine e guanti affronteremo il tema dell’elevata mortalità procurata nel nostro Paese.
Fin da subito e per tutte queste settimane il massimo sforzo della nostra Protezione Civile è stato incentrato sia sulla effettuazione dei tamponi che soprattutto sull’allargamento dei centri di rianimazione per potere accogliere e trattare tutta la mole di pazienti, con stato di avanzata compromissione della funzione polmonare, che non respirano più autonomamente a seguito dell’imponente stato infiammatorio procurato dal virus specie a livello dell’area alveolo capillare con conseguente scarso passaggio sia di O2 che di CO2. E’ stato approntato un grande investimento di risorse su ospedali da campo, nuove strutture di rianimazione anche con aiuti che arrivano da Cina, Russia ed altre nazioni. Si sono moltiplicate inoltre le donazioni di respiratori da parte di privati, sospinte dalla loro generosità al servizio di quanto i mass media continuamente consigliano con messaggi unidirezionali.
Alle ore 18 di ogni giorno tuttavia arriva il momento del Dr. Borrelli, o chi per lui che quotidianamente ci aggiorna sul numero dei nuovi contagi (calcolo come abbiamo visto nella parte 2, molto aleatorio), sul numero dei guariti (non si sa quali siano i pazienti che ricadono in questa casistica) e dei deceduti, che presupponiamo siano coloro che decedono in ospedale, a seguito di una clinica suggestiva o certa di infezione da Coronavirus. Questi ultimi numeri sono impressionanti e tutti i giorni non si schiodano da diverse centinaia, a volte sono più vicino al migliaio. Vi assicuro inoltre che questi numeri, già di per se impressionanti, non dicono tutta la verità. Infatti la polmonite interstiziale non è l’unica causa di decesso con il coronavirus, ma esistono altre possibili cause che passano attraverso miocarditi fulminanti o addirittura infarti miocardici acuti che a loro volta possono, per la loro rapidità di insorgenza, colpire le persone a casa con arresti cardiaci, nella fase in cui attendono gli eventi, magari impiegando solo la tachipirina come antipiretico, come è stato consigliato dalla nostra unità di crisi. Esistono descrizioni di tali casi in riviste scientifiche recenti (Xiong TY et al, Coronaviruses and the cardiovascular system: acute and long-term complications. Eur Heart J, 2020;Mar 18). Questo ci fa capire subito come il reale numero dei morti sia maggiore di quello che ci viene riferito, in quanto i casi deceduti a domicilio non vengono necessariamente ascritti alla patologia COVID-19.
Ma allora come mai anche se stiamo seguendo i dettami del nostro premier o della nostra Protezione Civile non cala il numero dei decessi? Come mai malgrado l’incremento notevole dei letti monitorati e dotati di respiratore non vi è un accenno se pur minimo al calo di mortalità?
Il motivo c’è e non è nemmeno così difficile da scoprire.
Tutti i nostri politici ci ripetono che siamo in guerra per cui dobbiamo stare uniti e così ce la faremo. Ma scusate quale strana guerra sarebbe questa? In guerra c’è sempre una dichiarazione di intenti che la precede e spesso in ogni guerra le motivazioni sono da ricercare in interessi economici. In guerra vi sono i belligeranti uno contro l’altro, le armi e le strategie di combattimento. I grandi condottieri (mi pare che il prof. Conte dica di ispirarsi allo statista Churchill) sono quelli che mettono in atto strategie vincenti in grado di scompaginare il nemico. In questa presunta guerra abbiamo si un’arma letale poco conosciuta (il Coronavirus) ma non vediamo chi ci ha dichiarato guerra. Ma la cosa più limitante è che malgrado ormai si conosca in maniera crescente questo virus, almeno indirettamente per esperienza altrui da alcuni mesi (ma adesso anche per esperienza nostra), ebbene la strategia messa in atto dai nostri “condottieri” è rimasta la stessa dell’inizio, senza alcuna modifica.
La strategia è la seguente: rimanete in casa; se accusate febbre, avvertite il medico di medicina generale e assumete tachipirina se la temperatura sale oltre i 38 gradi; solo alla comparsa di dispnea è consigliato l’accesso al PS, passando attraverso allertamento di numeri telefonici specifici. Quindi l’arma che ci viene contro (apparentemente sua sponte e non inviata da un nemico) è il Coronavirus che è mortale e noi lo combattiamo stando in casa, lavandoci le mani, impiegando le mascherine e la tachipirina. Solo quando invece compare la dispnea, che vuol dire quasi sicuramente polmonite interstiziale, beh allora spariamo tutte le nostre cartucce più potenti e che stiamo fortificando: i respiratori.
Ma allora la domanda è dal momento che stiamo sparando le nostre migliori cartucce con i respiratori quale probabilità abbiamo con queste potenti armi di salvare queste persone, che arrivano in ospedale? Non è difficile avere la risposta basta andare a leggere la letteratura scientifica (www.thelancet.com; Clinical course and mortality risk of severe COVID-19, vol 395; March 28, 2020). Ebbene l’articolo riporta che la mortalità dei pazienti COVID-19 che richiedono ventilazione meccanica (il supporto del respiratore appunto) nelle casistiche Cinesi è variabile fra 81 e 97%. Come si vede chi arriva a questa fase ha ben poche probabilità di sopravvivere. Da questa semplice osservazione si può subito capire che l’attuale strategia di difesa non è la linea giusta per contrastare l’ arma del virus. Allora cosa fare, partendo dal presupposto che non abbiamo nemmeno il vaccino, che comunque servirebbe poco ora ad epidemia già esplosa?
Bisogna attaccare il virus appena prende posto nel nostro organismo cercando di ridurre la elevatissima componente infiammatoria che genera ed è alla base dei danni d’organo che, se lasciati a se, portano al decesso. Diventa importante in questa strategia la tempestività d’ azione: nessuna attesa, ma subito, in presenza dei sintomi influenzali, partire con i noti antinfiammatori già a domicilio (si stanno testando anche antivirali che associati potrebbero migliorare ancora la efficacia terapeutica). In attesa dell’antivirale si impiega l’idroxiclorochina (farmaco anti artrite reumatoide) assieme ad un antibiotico (azitromicina). Per potere avere efficacia la strategia utile dovrebbe essere oggi di impiegare questa associazione farmacologica già al primo insorgere della sintomatologia influenzale, senza nemmeno fare il tampone, ma semplicemente partendo dal presupposto che esiste un’altissima probabilità, nel contesto attuale, che si tratti di Coronavirus. Il goal è di stroncare sul nascere la deleteria reazione infiammatoria impedendo l’evoluzione verso un danno d’ organo irreversibile. Invertendo la strategia, non più l’attesa fino alle complicanze maggiori, ma invece il tempestivo attacco per evitare le complicanze successive si dovrebbe riuscire a limitare gli effetti dannosi del virus riducendo sia le ospedalizzazioni che le complicanze mortali. Tutto questo in attesa della dimostrazione di efficacia e sicurezza di un farmaco antivirale prima che di un vaccino.
Si è gia perduto molto tempo durante il quale il Coronavirus ha proliferato beatamente in Italia proprio perché la strategia che era già fallimentare inizialmente non è stata nemmeno corretta in itinere. Ora dopo più di 9000 morti (stima sicuramente in difetto) è giunto il momento di chiedere con veemenza ai nostri governanti, ai componenti dirigenziali della Protezione Civile, alla dormiente AIFA che bisogna cambiare il livello e la strategia di difesa; in altre parole bisogna combattere con armi più efficaci e tempestive, ricordando che in tutte le guerre (e Churchill insegna) la tempistica di intervento è fondamentale per vincere. Richiediamo pronta azione a casa, al primo insorgere dei sintomi influenzali, spostando così la cura dall’ospedale al territorio. Non conosciamo chi ci ha dichiarato guerra ma possiamo rendere le sue armi inoffensive.

Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie dell’ Apparato Cardiovascolare
–  profacapucci@gmail.com

EdP-mb

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