IN ESCLUSIVA
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La possibile efficace terapia
Nella terza parte della nostra trattazione abbiamo sottolineato la necessità, dati alla mano, di cambiare, con la dovuta urgenza e rapidità, la strategia di azione contro il Coronavirus. Bisogna in altre parole rovesciare completamente il modo di vedere che si è fossilizzato sull’attesa di eventi e complicanze maggiori che invece, una volta comparsi, sono l’anticamera ormai quasi accertata della morte. Infatti a quel punto nella maggioranza dei casi, il respiratore svolge un impiego meramente compassionevole nell’accompagnare il paziente al decesso con il minore stress possibile. Fra entrata in Rianimazione e decesso le statistiche cinesi portano una media di 5 giorni (Clinical characteristcs of deseased patients with Coronavirus disease 2019: retrospective study; BMJ, 2020 (03). Table 1). L’età media dei pazienti cinesi ricoverati è 62 anni, di cui solo il 17% era venuto a contatto con persone sicuramente affette dalla patologia virale. Non rivestivano particolare importanza per la malattia e per il decesso le abitudini tabagiche, lo stato di gravidanza o la presenza di scompenso cardiaco cronico così come la malattia cronica polmonare (BPCO). I sintomi invece quali febbre elevata, tosse, affaticamento, anoressia e dispnea e in minor misura diarrea erano altamente indicativi di successiva evoluzione sfavorevole. Dai dati forniti già con l’esperienza cinese emerge la possibilità di capire fin dall’inizio dei sintomi quale evoluzione potrà prendere la malattia. Purtroppo l’esperienza cinese non è stata assorbita e utilizzata dalla organizzazione della nostra Protezione Civile che ha stabilito e continua a sostenere che i pazienti anche febbrili devono stare a casa e al massimo utilizzare la tachipirina e cioè un blando antipiretico. Noi asseriamo che questa è una tattica errata (parte 3) e bisognerebbe invece agire subito, appena inizia la sindrome influenzale, a casa del paziente cercando così di soffocare lo sviluppo del Coronavirus e l’esplosione dello stato infiammatorio che, espandendosi non solo al polmone ma anche al cuore e poi a tutti gli organi, porta inesorabilmente a morte. Certamente questa nuova e più razionale strategia di azione necessita a sua volta di armi efficaci da potere utilizzare. Quali armi abbiamo oggi? Prima di entrare nello specifico vorrei portare all’attenzione alcune considerazioni.
La prima deriva da una osservazione di base e che riguarda tutti gli esseri viventi, virus compresi: ogni essere vivente ha in se molto forte il senso di sopravvivenza e quindi tenderà a ricercare la condizione più favorevole alla sua vita e alla sua riproduzione. Vale la pena allora considerare più da vicino le caratteristiche di questo COVID-19, descritte in parte, in precedenza, nella sezione1 (N Engl J of Medecine.org 2020. Aerosol and surface stability of SAES-CoV-2 as compared with SAES-CoV-1). Questo virus possiede un’elevata resistenza anche all’ esterno (1-3 ore) e quindi può essere assunto non solo attraverso le gocce di saliva (droplets) ma anche attraverso la polvere ambiente, se in zona ricca di virus, o col contatto anche molte ore dopo che un portatore abbia toccato la medesima superficie. E’ stato infatti verificato dagli studiosi che il virus può sopravvivere in quantità ancora elevate per essere infettante, specie negli interni, anche fino a 72 ore, soprattutto a contatto con plastica o cartone. Quindi questo è un virus molto stabile e resistente e quindi infettante anche per contatto con superfici e non solo per aereosol da persona a persona. Una volta che una certa quantità di virus entra nell’ospite, spesso ma non solo dalle prime vie respiratorie, comincia il processo di replicazione, naturalmente combattuto dalle difese dell’ospite stesso con le armi che può mettere a disposizione il suo sistema immunitario. Diversi lavori in letteratura si sono occupati dei meccanismi di riproduzione di questo virus sui quali ha un certo peso il tasso di colesterolo di membrana per cui esistono alcune osservazioni positive sull’impiego di statine con funzione anti replica. Un lavoro del 2009 (S.Akerstrom et al Dual effect of nitric oxide on SARS-CoV replication viral RNA production and palmitoylation of S protein are affected Virology 395;1-9:2009) evidenzia come il radicale libero ossido nitrico (NO) sia in grado di inibire la replicazione del virus SARS-CoV con un duplice meccanismo. Il NO, a sua volta, è derivato dalla ossidazione enzimatica di L-arginina a L-citrullina che avviene in presenza di ossigeno (+NADPH). Quindi sappiamo che l’ossido nitrico può inibire la replicazione del virus e che questa sostanza per essere prodotta necessita di molecole di O, quindi di O2. Ma allora ci potremmo chiedere ancora una volta perché la replicazione del virus trovi terreno favorevole negli anziani? Perché inoltre si è replicato con grande successo nelle pianura padana (certamente luogo ad alto tasso di inquinamento atmosferico) ma non ad esempio a Taranto? Perché in Germania e non in Olanda? Una risposta potrebbe essere, e qui avanzo un’ipotesi personale non supportata al momento da dati scientifici, che il virus abbia difficoltà a resistere in condizioni di areazione elevata, in luoghi ad elevata concentrazione di O2 come i luoghi costieri; mentre trova il suo interland favorevole nelle più basse concentrazioni di O2 e quindi in una condizione con minore probabilità per l’organismo infettato di produrre ossido nitrico. A questo concetto si ricondurrebbe anche la preferenza del virus per gli anziani. Con l’ età infatti soprattutto nel sesso maschile (non nelle donne) vi è un fisiologico calo della emoglobina che è il nostro trasportatore di ossigeno ai tessuti e potrebbe essere questo il motivo per cui gli anziani maschi (fra il 65 e 73% nelle casistiche cinesi) risultano i più colpiti dal virus.
Da queste osservazioni personali, deriva che l’ossigeno in alta concentrazione, somministrato molto tempestivamente dopo l’inizio della malattia influenzale, potrebbe essere un nemico per il COVID-19, inibendone la riproduzione. Ma allora quando sarebbe utile agire? Certamente non quando i buoi sono scappati (paziente sotto respiratore) e i virus hanno già preso il sopravvento sulle difese dell’individuo rendendo impossibile un valido scambio gassoso, bensì subito, al primo insorgere dell’influenza e quindi già a casa del paziente influenzato. In questa ottica ogni sindrome influenzale deve essere considerata a priori da coronavirus, evitando con ciò l’ impiego di inutili tamponi.
Azione da proporre: 1) diagnosi clinica di influenza (Medico di medicina generale); 2) Inizio immediato della terapia antiinfiammatoria attualmente con idrossiclorochina solfato e antibatterica associata con Azitromicina, almeno fino a quando non usciranno risultati favorevoli con altri farmaci in sperimentazione (ad esempio Tocilizumab potrebbe sostituire la clorochina che ha una se pur minima tossicità: QT lungo); 3) Ossigeno a 3-5L/min, intervallati per almeno 2-3 gg in assenza di ricovero ospedaliero ed eventualmente, se in presenza di colesterolemia > 200 mg/dl, basse dosi di statina. Se dopo tre giorni sia ancora presente febbre in crescendo o comparsa di dispnea e tosse stizzosa allora sarà utile ricovero per accertamenti polmonari e cardiaci.
Tutto questo è fattibile attivando con una Task Force i medici di medicina generale che possono seguire i pazienti anche per via telematica.
Risultato atteso: meno ammalati da respiratore, meno accessi al PS e calo della mortalità.
Potrebbe essere giunto il momento nel quale il Coronavirus cominci a ritenere l’Italia non più così ospitale.
Per ulteriore documentazione riporto di seguito la tabella dei farmaci allo studio in diverse nazioni (Germania, Grecia, Cina, Russia, Arabia Saudita e Francia) per combattere il Virus. L’Italia, grazie ai ritardi dell’AIFA, non fa parte degli sperimentatori.
Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare
profacapucci@gmail.com
EdP-mb