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IN ESCLUSIVA
Nonostante 45 giorni di lockdown il numero delle persone decedute giornalmente per Coronavirus, come riportato dalla Protezione Civile, non decresce in modo significativo. Ci dicono che vi sono meno persone che si ammalano, più persone “guarite”, meno accessi in terapia intensiva, dati questi ultimi incoraggianti sul fatto che il virus sta perdendo con molta probabilità la sua peggiore virulenza; tuttavia le persone che decedono per Coronavirus sono sempre molte. Ma i numeri sono proprio come ci vengono presentati?
I dati ISTAT sono solitamente tardivi rispetto agli accadimenti. Se si va nel sito si vede che è dichiarato che i dati ufficiali e completi riguardanti la mortalità dell’anno 2018 saranno disponibili a fine 2020.
Sono circolate cifre in questi giorni (World press.com) che paragonano il primo trimestre del 2019 a quello attuale e dove i numeri dei decessi sarebbero 185.967 per il 2019 (dati ISTAT) e 165.367 per il 2020. Italia Ora pubblica però i dati di mortalità all’8/4/2020 che ammonterebbero a 180.868 persone.
Bisogna considerare per forza di cose che i dati riferiti agli ultimi mesi di quest’anno non possono essere completi e infatti ISTAT li ha verificati su un campione di soli 1084 comuni italiani dove invece la differenza sarebbe nettamente sfavorevole in questo ultimo anno con 33.575 deceduti nei primi 3 mesi del 2019 e 40.244 nei rispettivi mesi del 2020. Tenendo conto inoltre che la data ufficiale di inizio di diffusione della malattia è stata posizionata il 21/02/2020, questi dati sono indicativi di un deciso aumento di mortalità. Sono riportate infatti differenze importanti in vari comuni quali Bergamo, Brescia, Codogno, Ponte S. Pietro, Crema, Piacenza. Allora sarà stato utile il lockdown?
E’ stato pubblicato un lavoro Italiano sulla rivista l’Economia (19 aprile 2020) che dimostrerebbe che una valutazione effettuata nei primi 17 giorni del contagio sarebbe già in grado di prevedere anche l’andamento successivo della mortalità indipendentemente dal lockdown. La diffusione del contagio da COVID-19 sarebbe in altre parole dipendente esclusivamente dai focolai divampati per caso nei primi 17 giorni. Tale modello matematico ad esempio prevede per lo scorso 18 aprile una mortalità di 23.873 persone (vedere il confronto con i numeri veri che sono stati 23.227, realmente impressionante) indipendentemente dal rigore delle misure restrittive adottate. La previsione per fine maggio è intorno alle 30.000 vittime (predictcovid19.com). Quindi apparentemente non vi è stato un impatto fondamentale delle misure di lockdown, né sulla diffusione del virus né sulla riduzione della mortalità attesa, seguendo la logica di questo calcolo matematico.
Ma stabilito che ISTAT, pur in campioni ridotti di comuni considerati, segnala un’elevata mortalità (a volte doppia) rispetto al 2019 è lecito chiederci come venga valutata tale mortalità “da coronavirus”. Andando nel sito specifico vi è dichiarazione che la valutazione viene dedotta dalla compilazione di 2 modelli di certificato di morte che sono il modello Istat D4 e Istat D4 bis. In entrambi viene riportato in alto una casella con riferimento alla causa primaria di morte e una casella sotto dove si devono riportare gli altri stati morbosi rilevanti ed eventualmente concausali. Ora è facile capire che la specifica importanza che venga attribuita alla infezione da Coronavirus al momento del decesso sia fondamentale perché il medico compilatore ponga tale infezione nella casella in alto (nel quale caso il decesso viene attribuito al Coronavirus) oppure in basso (nel qual caso viene attribuito ad altra patologia). Faccio un esempio: un paziente viene ricoverato in ospedale per uno scompenso cardiaco e magari ha avuto in passato altri ricoveri per tale patologia cardiaca; durante il ricovero viene fatto un tampone che risulta essere positivo. Dopo alcuni giorni il paziente purtroppo muore mentre è ricoverato in ospedale: questo paziente sarà considerato deceduto per Coronavirus perché positivo al tampone oppure sarebbe stato più giusto considerarlo deceduto a seguito di scompenso cardiaco ed il Coronavirus essere al massimo una causa secondaria da immettere non nella prima casella del modulo Istat D4?
E’ molto probabile che in questo periodo di grande afflusso di pazienti negli ospedali dei centri più colpiti ed in severe condizioni cliniche, molte morti siano state seguite dal posizionamento della scritta ”Coronavirus “ proprio nella casella in alto anche se magari la reale causa di morte era un infarto miocardico, uno shock cardiogeno o altra patologia, solo perché in presenza di tampone positivo. Per scoprire ciò basterebbe confrontare con l’anno precedente i numeri relativi alle principali cause di morte cardiovascolari e/o conseguenti a neoplasie.
Dopo 45 giorni di lockdown quindi scopriamo che con grande probabilità non tutti i morti che ci riportano giornalmente sono conseguenze dirette del Coronavirus ed anche che il così detto lockdown non è servito affatto a contenere l’andamento della patologia che si era già liberata nei primi 17 giorni di contagio nazionale.
La potenza infettante di questo COVID-19 sta calando sua sponte e malgrado gli errori di valutazione fatti e i danni economici ingenti conseguenti, con grande probabilità ce ne libereremo.
Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie Cardiovascolari
profacapucci@gmail.com
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