Il vecchio farmaco antimalarico, approvato dalla Food and Drug Administration statunitense fin dal 1955 e utilizzato regolarmente da milioni di persone in tutto il mondo, osteggiato in Italia per la cura della SARS-CoV-2 (Covid-19) nonostante abbia ampiamente dimostrato efficacia e sicurezza se utilizzato per breve tempo alla comparsa dei primi sintomi del Coronavirus, nei giorni scorsi è stato finalmente approvato dall’American Medical Association, con un articolo apparso sulla prestigiosa rivista medica USA “The American Journal of Medicine”, per la terapia domiciliare precoce del Covid-19
di Massimo Baldi
Diversi medici Italiani fin dal primo insorgere del COVID-19, malgrado l’assenza di precise indicazioni provenienti dalle Istituzioni, hanno curato alcune centinaia dei loro pazienti in terapia domiciliare precoce utilizzando un vecchio farmaco antimalarico e antireumatico, l’idrossiclorochina, o HCQ, in associazione o senza azitromicina, cioè un antibiotico impiegato nelle infezioni delle vie respiratorie (ottenendo una percentuale di guariti pari al 95%, un’ospedalizzazione di malati del 5% e nessun decesso, ndr). Questa esperienza è tanto straordinaria in quanto in contrasto al veto imposto dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) che fin dal luglio scorso, dopo la pubblicazione di uno studio su HCQ pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale, “The Lancet”, poi ritrattato per dati non verificati (che riteneva il medicinale pericoloso per il trattamento anti COVID-19, senza fare alcuna distinzione fra un utilizzo per breve tempo e precocemente rispetto ai pazienti già ricoverati in terapia intensiva), aveva negato un utilizzo diverso del farmaco da quelli previsti dal cosiddetto “bugiardino, impedendone di fatto l’impiego nei pazienti COVID. Oggi siamo giunti finalmente a una svolta decisiva: la riabilitazione della HCQ nella terapia domiciliare con conseguente possibilità di ridurre nettamente i ricoveri ospedalieri ed i decessi relativi.
L’HCQ da alcune settimane è stata finalmente riconosciuta e autorizzata ufficialmente dal Consiglio di Stato per una terapia off-label anti SARS-CoV-2 o COVID-19 (solo se prescritta da un medico e non rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale) in esito a un ricorso presentato da un gruppo di medici di medicina generale che rivendicava la libertà di prescrivere il farmaco sotto la propria responsabilità, confortati da una efficace relazione presentata da alcuni esperti clinici e medici: il professor Alessandro CAPUCCI di Bologna, il professor Luigi Cavanna di Piacenza, la dottoressa Paola Varese di Ovada, unitamente al dottor Andrea Mangiagalli di Milano (portavoce dei medici di medicina generale estensori del ricorso stesso, ndr), tutti primi apprezzati sperimentatori di questa rapida, efficace e oggi verificata terapia anti COVID-19.
Da molti mesi il farmaco idrossiclorochina è stato al centro dell’attenzione non solo per un dibattito fra sostenitori e detrattori, provocato, da una parte, dalla presa di posizione dell’AIFA e, dall’altra, dall’azzardata e poco affidabile pubblicazione su The Lancet, ma anche per essere stato definito ottusamente un medicinale “sovranista” perché tra i suoi sostenitori figuravano l’ex presidente USA Trump, il presidente del Brasile Bolsonaro e anche il leader della Lega Matteo Salvini, che si erano dichiarati favorevoli al suo utilizzo nella terapia anti Covid-19. Sconfinamenti politici che non dovrebbero esistere in una società civile come la nostra e, soprattutto, non coinvolgere un contesto medico emergenziale che necessita di risolvere i problemi sanitari laddove sono in gioco le vite di milioni di persone.
Oggi qualcosa di nuovo e di fondamentale si è aggiunto a questo insensato dibattito, che forse porrà fine a ogni dubbio su “HCQ si o no”: la pubblicazione ufficiale di un protocollo di terapia contro la SARS-CoV-2 (COVID-19), dal titolo “Pathophysiological Basis and Rationale for Early Outpatient Treatment of SARS-CoV-2 (COVID-19) Infection“, apparsa pochi giorni fa su un’importante rivista statunitense di medicina, che illustra con una chiara schematizzazione un “… algoritmo basato sull’età e sulle comorbidità e che consente di monitorare e curare una grande percentuale di persone a casa, al fine di ridurre i rischi di ospedalizzazione e morte.” Questo algoritmo è apparso sul “The American Journal of Medicine vol. 134” di gennaio 2021, la prestigiosa rivista statunitense e fonte, più che autorevole, pubblicata dall’American Medical Association, l’Associazione Medica Americana, AMA, fondata nel 1847, la più importante associazione di medici e studenti di medicina degli USA, che ha il potere, fin dal 1906, di accreditare e certificare le Medical School degli Stati Uniti, al fine di rilasciare titoli di studio a valore legale e abilitanti alla professione medica.
Per approfondire l’argomento dal punto di vista tecnico e interpretare il diagramma allegato alla prestigiosa pubblicazione statunitense abbiamo sentito il Professor Alessandro Capucci, uno dei medici che hanno dato il via a questa sperimentazione terapeutica di successo in Italia. Clinico che non ha certo bisogno di presentazioni, che comunque, giova ricordare essere un medico esperto di fama internazionale nell’ambito della medicina cardiovascolare, professore ordinario, per molti anni direttore della Clinica di Cardiologia dell’Ospedale “Le Torrette” di Ancona, divenuta sotto la sua direzione un’eccellenza a livello nazionale e internazionale nel trattamento delle patologie cardiovascolari e dal 2008 al novembre 2019 direttore della Scuola di Specialità in Malattie Cardiovascolari presso l’Università Politecnica delle Marche e inoltre uno degli otto membri in Europa del “Working Group on Arhythmias” della “Società Europea di Cardiologia”, nonché vice presidente dell’associazione italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione, e inserito a pieno titolo nel prestigioso database di ricerca scientifica internazionale «Scopus», con un punteggio “h-index” di 59, con 412 documenti all’attivo.
Prof. Capucci, ci parli dell’articolo pubblicato da “The American Journal of Medicine” sul numero di gennaio 2021 “Pathophysiological Basis and Rationale for Early Outpatient Treatment of SARS-CoV-2 (COVID-19) Infection”?
Questo breve e chiaro articolo evidenzia alcuni punti fondamentali che smentiscono le prese di posizione di AIFA: 1) in assenza di risultati scientifici derivati da trial clinici randomizzati i medici devono impiegare, per la terapia, le conoscenze derivate dalla fisiopatologia del SARS-Cov-2 e cioè impedire il più possibile la tempesta citochinica con i farmaci più appropriati con lo scopo di ridurre ospedalizzazione e decessi; 2) la terapia più appropriata deve essere instaurata al domicilio e precocemente, in base ai sintomi, con l’ ausilio eventuale della telemedicina; 3) l’aria fresca contribuisce a ridurre la reinoculazione dei virus e potenzialmente riduce la severità della malattia, per cui aerazione in casa e fuori di casa; all’aperto senza impiego di maschere.
In particolare quale significato hanno gli acronimi utilizzati e cosa rappresenta il diagramma che è stato inserito nell’articolo (in calce la traduzione in lingua italiana):
Gli acronimi rappresentati nella figura 1, del diagramma relativo all’algoritmo di trattamento anti malattia da COVID-19, hanno il seguente significato: BMI = indice di massa corporea; CKD = malattia renale cronica; CVD = malattia cardiovascolare; DM = diabete mellito; Dz = malattia; HCQ = idrossiclorochina; Mgt = gestione; O2 = ossigeno; Ox = ossimetria; Yr = anno. Lo schema sintetizza come l’impiego dello Zinco, come noto inibitore della replicazione del virus sia utile anche come prevenzione oltre che come prima terapia ma come ai primi sintomi della patologia, ormai noti nelle caratteristiche, sia utile impiegare la HCQ a 200 mg 2 volte al giorno per almeno 5-7 giorni da sola o associata ad Azitromicina, oppure Doxiciclina o antivirali. Qualora i sintomi di febbre, tosse, etc. non si risolvano oppure entro i 5 gg. compaia dispnea, aggiungere Desametazone, aspirina ed eparina a basso peso molecolare. Questo schema è esattamente ciò che i medici Italiani summenzionati avevano già applicato con successo in occasione della prima ondata e che è stato sempre osteggiato da AIFA e CTS sia nazionale che regionale. Solo recentemente Piemonte e Veneto hanno riammesso la idrossiclorochina.
Avrebbero potuto quindi essere salvate tante vite?
Assolutamente si. Molti dei nostri sanitari hanno trattato pazienti senza alcun decesso. Inoltre alcune di queste esperienze sono state riportate da mesi anche in riviste scientifiche. I nostri appelli inviati a politici e presidenti delle Regioni non sono stati ascoltati, tranne come detto in Piemonte e Veneto.
È stato necessario il severo lockdown applicato in Italia e che ancora oggi condiziona le nostre vite, nell’ottica di impedire la diffusione del virus e di ridurre i decessi?
Se partiamo dai decessi da COVID, così come riportati da ISS del nostro paese, la loro percentuale nella popolazione generale è del 0.14%. Se però consideriamo le persone sotto i 50 anni di età la mortalità scende allo 0.0015%, quindi a valori del tutto trascurabili. Tutto questo con una politica sanitaria fallimentare che da un anno ci dice se avete sintomi state a casa, con sola tachipirina, e in caso di dispnea possibile ospedalizzazione. Il giusto approccio sarebbe stato fin da subito l’instaurazione della già esistente terapia domiciliare, come eseguito da responsabili medici di medicina generale in diverse regioni con ottimi risultati. Questa strategia, qualora coordinata e monitorata a livello nazionale, avrebbe potuto evitare molti decessi rendendo del tutto inutile il lockdown. Utili mascherine al chiuso e distanziamenti ma in un’ottica di continuare a vivere il più normalmente possibile.
In base a tali dati quale significato ha allora questa campagna vaccinale su scala mondiale e con vaccini anche diversi fra loro?
Intanto se consideriamo i vaccini Pfizer e Moderna, parliamo di altre cose e non di veri vaccini: sono infatti dei veri e propri devices. Entrambi consistono nell’inoculare un RNA messaggero che ha il compito di migliorare la reattività del soggetto al Coronavirus agendo sulle proteine spike. Quindi in teoria tali sostanze non impediscono che il soggetto vaccinato prenda il virus e nemmeno che lo trasmetta ad altri. Il vaccino Astra-Zeneca invece, di principio diverso, sarebbe da proscrivere alle persone sopra i 55 anni che sono proprio quelle che muoiono di più. Se aggiungiamo inoltre che non vi sono dati né sulla efficacia né sulla sicurezza di questi “vaccini” a distanza di mesi o di anni, si capisce subito come possano esservi motivate perplessità sulla reale efficacia di questa vaccinazione di massa. Molto meglio accettare la esistenza della malattia, trattare i pazienti a casa ai primi sintomi, decongestionando gli ospedali e riprendere una vita normale con attenzione alle misure di contenimento di cui ormai siamo esperti.
Cosa ci dobbiamo aspettare nei mesi a venire?
Il Coronavirus, così come i virus in generale, preferisce il freddo per la sua resistenza e sviluppo per cui è molto probabile che la sua virulenza cali progressivamente con l’avvento dei mesi più caldi, così come è stato per l’anno trascorso. Tutto starà a vedere, per quanto riguarda il riacquistare della nostra libertà, se a ciò si accompagnerà la volontà politica di uscire da questa situazione di chiusura utilizzando con sapienza i mezzi già da tempo esistenti o invece si preferirà continuare a tenere la gente in casa, mortificandone iniziative, affetti e speranza di vita. Non ritengo che ciò possa dipendere dalla vaccinazione di massa.
EdP-mb
Traduzione e rielaborazione grafica del diagramma della terapia domiciliare precoce USA, pubblicato da “The American Journal of Medicine”, realizzata dal professor Alessandro Capucci (un click per ingrandire)